Si definisce “un mix fra un procuratore calcistico e un agente letterario”. E' più elegante di Mino Raiola, il potentissimo rappresentante di Pogba e Balotelli, e più glamour di Andrew Wylie che ha fra i propri clienti mostri sacri della letteratura come Philip Roth o Saul Bellow. Si chiama Davide Dallomo, fondatore di Lagente, la più grande agenzia di stilisti e creativi, al ventunesimo anno di attività.
Si è ispirato a qualche agente calcistico?
“Veramente no. Sono più appassionato al tennis che al pallone. Però il paragone mi sembra calzante considerando che viviamo in un paese calciofilo”.
In cosa consiste la sua attività?
“La mia società ha due sedi, una a Milano e una Parigi: abbiamo più di cento clienti. Dei direttori creativi mi occupo io personalmente o il Vice-Presidente della mia azienda. All'interno della struttura c'è anche un ufficio legale, mia antica passione”.
Cioè? Come si coniuga l'aridità del codice civile con la fantasia degli stilisti?
“Ho studiato giurisprudenza e dopo la laurea ho sostenuto lo scritto per diventare avvocato ma non l'orale. In quel periodo ebbi un incontro che cambiò le mie onde del destino”.
Ci spieghi.
“Ventuno anni fa facevo pratica in uno studio legale. Un fotografo, Stefano Pandini – famosissimo per aver lavorato con Moschino – mi chiese se volevo occuparmi di lui. Iniziai così, anche se lavorare con i fotografi è complicato. Compresi che il business era rappresentato dai direttori creativi e dai designers”.
Per restare in tema di metafore calcistiche qual è il suo Ibrahimovic?
“Senza dubbio l'esperienza professionale più completa l'ho avuta con Riccardo Tisci anche se, dopo quattordici anni di collaborazione, da pochi mesi le nostre strade si sono separate. Riccardo è ora uno dei primi designer al mondo. Al livello in cui è arrivato non ha più bisogno di me ma di un team vero e proprio. E' diventato un uomo azienda praticamente. Cito lui che non fa più parte del mio portafogli clienti così gli altri non si offendono”.
Più spesso cerca lei i creativi o sono loro a bussare alla sua porta?
“Diciamo che io poche volte mi sono proposto. Molto più frequentemente sono gli stilisti a cercare me. Solo che rispetto al mondo del pallone questo è un ambiente più élitario e molto più discreto. Nell'ambiente del calcio si sbandierano cifre di acquisti e di ingaggi. Nella moda questo non succede proprio: c'è molta più riservatezza”.
E come per gli agenti calcistici tra i clienti ha sia star affermate sia talenti da far sbocciare?
“Certo dai junior (abbiamo relazioni con le più importanti scuole di moda europee) ai creativi già famosi”.
Capita di essere contattati invece dalle aziende?
“Certo, mi è successo più volte in questi anni di sedermi con la stessa società per clienti diversi. Nel 70% dei casi è il creativo a cercarci, ma in certe occasioni l'azienda si rivolge alla mia struttura per reperire un determinato profilo. Una volta individuato, parte la trattativa”.
E lì entra in gioco lei …
“Ci sono colloqui in cui bisogna stabilire solo quanti giorni si lavora in azienda, quali progetti seguire o stabilire le esclusive parziali. E altri assai più complessi”.
Ci spieghi.
“Al secondo rinnovo con Givenchy di Riccardo Tisci non solo concordammo un aumento di stipendio ma pure che venisse introdotta la dicitura “Givenchy by Riccardo Tisci”, come se fosse un marchio senza che necessariamente esistesse un prodotto”.
Come i procuratori calcistici insegue l'ingaggio principesco a ogni costo?
“Direi di no. Sotto questo profilo assomiglio più a un agente letterario che deve garantire la prospettiva di carriera. A volte si ricevono proposte economiche allettanti per incarichi che a lungo termine possono risultare passi falsi. Meglio avere dieci anni di lavoro davanti guadagnando in maniera media piuttosto che tre con stipendi da favola. Mi preoccupo che i miei clienti siano più felici che ricchi anche se i miei guadagni derivano da una percentuale sui contratti che firmano”.
La scommessa vinta?
“Con Alessandro Dell'Acqua abbiamo affrontato il buio insieme. Lo abbiamo accompagnato quando è passato dal suo marchio a quello di N°21. Siamo partiti da zero: quando cinque anni fa ha iniziato, erano pochi i capitali da investire. Ora invece è un successo commerciale”.
La prossima stella di cui sentiremo parlare?
“Alexis Martial, che fino a poco tempo fa era direttore creativo di Iceberg. Ha 32 anni, ora con il compagno Adrien Caillaudaud ha assunto la direzione creativa del brand Carven. Diciamo che la figura del designer in questi anni si è evoluta. Rispetto a vent'anni fa, ora c'è meno domanda e maggior offerta. Il creativo oggi fa molta più fatica, ma tra le figure attuali si pensa meno a essere rockstar o a sognare di vestire Madonna. I designer sono meno capricciosi. Sembrano più innamorati del loro lavoro e meno del contorno”.