Cosa succede quando un giovane designer di talento conclude il suo percorso formativo? E prendere la via dell’estero è sempre la soluzione migliore per i creativi italiani? Nonostante l’Italia rimanga la culla della creatività la difficoltà principale non è tanto quella di trovare un generico sbocco lavorativo ma di trovare quello giusto. Ovvero, poter percorrere la strada più idonea alle proprie capacità e caratteristiche, dalla consulenza stilistica nelle aziende di moda o maison del lusso o scegliendo di lanciare la propria etichetta. “Due terzi dei giovani stilisti preferiscono mettersi in proprio con un label di abbigliamento perché il grande sogno di tutti è riuscire ad arrivare alla passerella”, ha raccontato Riccardo Vannetti, Chief Operating Officer presso Lagente, società di consulenza, supporto e tutela per le figure creative e i brand. Nata vent’anni fa da un’intuizione di Davide Dallomo espressamente con l’obiettivo appunto di difendere le idee dei creativi, si definisce “un mix tra il ruolo svolto dai procuratori nel calcio e gli agenti letterari”, accompagnando i designer nell’arco della loro carriera.
“Al momento seguiamo tra i 50 e i 70 giovani talenti oltre ai numerosi senior e direttori creativi”, ha spiegato Vannetti, “per lo più sono italiani ma arrivano comunque da tutti i Paesi del mondo. Il 70% di questi, appunto, lancia la propria linea. In questo caso la difficoltà sta proprio nell’aver chiaro fin da subito dove si vuole andare, avere un progetto ben preciso perché i risultati si raggiungono attraverso una serie di buone collezioni. Una non basta”. Gran parte di questi nuovi nomi del panorama della moda opta per il ready to wear, solo una piccola parte sceglie di specializzarsi negli accessori che, seppur rappresenti un’area ad alto potenziale vista la continua domanda in tutti i mercati, rappresentano un mercato più chiuso.
E quali sono le chance, anche in termini economici, di chi invece sceglie di entrare nell’ufficio stilistico di qualche maison? “Qui lo spettro si allarga”, ha aggiunto il manager, “è difficile indicare con esattezza quella che potrebbe essere la retribuzione perché dipende molto dal tipo di consulenza per la quale si è stati chiamati. Posso però spezzare una lancia a favore dell’Italia perché i nostri gruppi, e nel dettaglio Max Mara, Prada e Tod’s, sono i più generosi nel riconoscere il valore della creatività e di conseguenza ci si sposta nella forchetta più alta di retribuzione”. E per una generazione ormai abituata all’idea della fuga dei cervelli all’estero arriva finalmente la rivalsa dell’Italia.
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